Riuscirà Öcalan ad arrivare a Pechino? O ci sarà una nuova pace armata dopo la devastazione?
Posted: Marzo 15th, 2022 | Author: nullo | Filed under: General | Tags: cina, globalizzazione, guerra, mondiale, movimenti sociali, ocalan, pechino, rivoluzione, russia, stati uniti, usa | Commenti disabilitati su Riuscirà Öcalan ad arrivare a Pechino? O ci sarà una nuova pace armata dopo la devastazione?L’Ortica di via Mascarella, piglia bene perché nessuno ti rompe il cazzo. Se vuoi scambiare quattro chiacchiere, trovi qualcunə per farle. Se vuoi startene per i fatti tuoi, a tirare le somme della giornata, nessuno, appunto, ti rompe il cazzo.
Però, in ‘sti giorni, tirare le somme della giornata, vuol dire pure mettere in ordine le informazioni che hai appreso aggiornando bulimico Tutta la guerra minuto per minuto trasmessa a reti unificate dalle redazioni online. A ‘sto giro poi, oltre al fatto che la situazione sembra più grave e complessa del solito, la guerra, nella vita mia, in qualche modo, ci è entrata in maniera un po’ più diretta rispetto ad altre volte.
Questi, però, sono cazzi miei, quelli che all’Ortica nessuno si fa. Era solo per dire che aggiorno più spesso di quanto sarebbe avvenuto normalmente (che già è tanto) le notizie che arrivano dal fronte.
I pensieri che seguono, sono quelli che mi sono venuti negli ultimi giorni. Al bar. Lo dico prima, così, se qualcunə li reputa cazzate, non viene a menarla con la storia degli idioti, dei bar, della rete e del diritto di parola che cacciò fuori, non azzecandoci una delle poche volte in vita sua, il monsù Umberto.
1. Vlad e zio Adolf
Non so quanto se ne renda conto, ma Putin, a dispetto della sua volontà, e contro ogni evidenza storica, dato che al momento alcun paragone è minimamente possibile, potrebbe diventare l’Hitler del Terzo millennio. È uno degli scenari che potrebbero verificarsi. Uno scenario, certo. Ma noi, per scenari, per fortuna, al momento, possiamo ragionare. E ragionarci può portare anche a scongiurarli.
Dicevo: il buon Vlad può diventare il nuovo Adolf. Agli Usa serve un nemico e una guerra, per salvaguardare, almeno in parte, il ruolo predominante che va erodendosi sempre più a vantaggio della Cina. La Cina, il vantaggio suo, lo ha tratto dalla globalizzazione e dai processi che la accompagnano. Sarebbe quella che ci perderebbe di più se le condizioni fin qui vigenti si deteriorassero. Ma, se le condizioni fin qui vigenti non si deteriorassero, quelli che ci perderebbero sarebbero gli Stati uniti. L’unico modo che avrebbero per indurre la Cina a non divenire predominante, e a spartirsi il mondo con loro, tipo come avvenne dopo la Seconda guerra mondiale con l’Urss, sarebbe proprio una guerra condotta contro un nemico comune, e le trattative che ne seguono.
È solo uno scenario. Ma non credo sia del tutto trascurabile.
2. Öcalan a Pechino
L’altro problema che credo abbiano i cinesi è che, sui movimenti rivoluzionari occidentali, ci hanno un appeal pari a zero. Il loro sistema, vero o meno che sia, è percepito come autoritario; più che comunista, è considerato neoliberista di stato. La smania di controllo che hanno poi, certo, frutto della logica dell’assedio, come fu per l’Urss, non può essere affatto accettata dai movimenti occidentali, per il semplice fatto che non l’accetterebbero dai propri governi, e, al controllo, e a come superare quella logica, ci hanno dedicato grandi dibattiti.
Un solo punto di incontro si potrebbe trovare: se i cinesi avviassero una transizione al comunismo basata sui principi del confederalismo democratico. Solo così potrebbero proporre al mondo un sistema, alternativo al capitalismo, desiderabile dai più. È nei loro interessi farlo? Ci riuscirebbero? Non ne ho idea. Mi pare semplicemente uno dei soli punti di incontro tra i vari rivoli in cui si è disperso il movimento comunista e anarchico a livello internazionale.
3. Frammenti
Dal canto loro, i movimenti rivoluzionari occidentali, non sono solo frammentati tra le nazioni, ma anche all’interno della stessa nazione, e in essa, tra le città. Non è una situazione ottimale. Paiono anch’essi molto lontani dall’esperimento del Rojava, dove diverse sensibilità combattono insieme e, insieme, costruiscono la società nuova. Orso, era anarchico, ma in molte foto è in posa sotto la falce e martello, simbolo del battaglione nel quale ha cominciato a combattere.
Da ‘ste parti, poi, la prospettiva rivoluzionaria, quella classica, armi in pugno e assalto ai palazzi, al momento, pare solo un rimpianto nostalgico del Novecento. Non sembra realizzabile. Del resto, pure in America Latina, le ultime rivoluzioni sono avvenute, con tutte le contraddizioni che ciò comporta, per via elettorale. A unità e a darci una rappresentanza, forse, anche da ‘ste parti dovremmo cominciare a pensare. Eviteremmo quello che è successo in Val di Susa coi Cinque stelle, e, probabilmente, resisteremmo anche alla repressione in maniera più efficace.
Ciò non vuol dire rinunciare a pratiche o a forme di lotta radicali, ma portare il conflitto all’interno delle istituzioni. Per accompagnare un processo radicale di cambiamento. La sfida è essere “dentro e contro”, né solo contro, e, soprattutto, né solo dentro, come, purtroppo, sta avvenendo in molti luoghi a forze che si professano espressione dei movimenti sociali.
4. Decolonizzare l’immaginario
Nei giorni scorsi, moltə, chi esaltando, chi facendo notare, giustamente, le contraddizioni, hanno parlato della villa dell’oligarca russo occupata dagli “anarchici” sulla quale era stata issata una bandiera ucraina. Il nostro immaginario, seppur involontariamente, è impregnato della propaganda che ci avvolge. Non di rado la nostra idea di democrazia e di libertà è la stessa che fa comodo alle classi dominanti. Molte volte, alcune nostre analisi, ci rendono inoffensivi, persi nell’astrazione e pregni di una critica al potere all’interno della quale è impossibile giungere a una diluizione del potere e a una democrazia radicale.
È il frutto di un processo ampio, che ha origini negli anni Sessanta, quando, attraverso i media, ma non solo, si sono imposti frame funzionali alle classi dominati dai quali non siamo immuni. A forme di lotta radicali, occorre accompagnare una teoria radicale, non solo in grado di criticare l’esistente, ma di cambiarlo. Che forma di governo immaginiamo? Ancora una volta potrebbero venirci in auto i kurdi, ma anche gli zapatisti.
A ‘ste cose ho pensato cercando di tirare le somme della giornata. Al fatto che al caos che si prospetta, dovremmo essere in grado di contrapporre un ordine nuovo, e radicalmente diverso dall’esistente. Altrimenti, guerra o non guerra, saremo comunque sconfitti.